Le Leggende raccontano che quando
Il Drago Ràgon si destava ad Oriente,
Il Drago Iron ruggiva ad Occidente…
- da “Il Sentiero dei Draghi”,
traduz. del Sommo Raphael -
Il profumo dell’erba bagnata dalla rugiada. L’odore salmastro della salsedine e lo sciabordio dell’acqua che imperterrita s’infrangeva sugli scogli, protesi al cielo e irti come denti aguzzi. La brezza che gli scompigliava la folta chioma e l’aria pungente che gli schiaffeggiava il volto. Il richiamo lontano di qualche gabbiano che si era risvegliato con le prime luci del sole. Per tutto questo Arens era fuggito dalla Torre degli Antichi? Aveva il fiatone, era in affanno, correva a velocità sostenuta da ore e nonostante la sua ipertrofica muscolatura alterata geneticamente dalla Tecnologia Templare del Nuovo Ordine di San Tommaso, cominciava ad essere affaticato. Aveva percorso centinaia di chilometri divorandoli come neanche il più poderoso dei cavalli da guerra del Principato di Dor o del Ducato di Bash avrebbe potuto fare; aveva attraversato in una sola notte il Bosco del Guerriero, quella che un tempo era chiamata foresta delle Amazzoni, nella dimenticata America del Sud, e poi scalato con furore la Lingua del Gigante, a mani nude, sempre pervaso dal fuoco ardente della necessità di dover adempiere alla propria missione. Completamente nudo, madido di suore, decise finalmente di concedersi una pausa.
I suoi quattro polmoni funzionavano a pieno ritmo, filtrando ed intervenendo a livello molecolare sull’aria inspirata, mentre la sua epidermide, coriacea quanto quella di un rinoceronte, manteneva inalterato il suo equilibrio biofisico a livello di temperature e funzioni vitali. Per lunghi periodi non avrebbe avuto bisogno di nutrirsi con cibi o bevande convenzionali, da qualunque cosa avesse ingerito avrebbe assimilato gli elementi essenziali utili alla sua sopravvivenza. Le connessioni cibernetiche visibili sul suo corpo, utili all’interazione con le armature da combattimento, in quel momento servivano solo a ricordargli ciò che era e sarebbe sempre stato: un soldato della fede.
E in quanto tale, conscio di non poter sognare o avere visioni di alcun genere, possedeva quella certezza e soprattutto quella consapevolezza che ai suoi inseguitori mancavano: non avrebbe fallito. Infatti, le immagini che riusciva a richiamare alla mente dalla sua memoria non potevano che essere ricordi di esperienze passate che aveva ormai semplicemente dimenticato, oppure elaborazioni personali di eventi che volevano contribuire ad accrescere il suo bagaglio di conoscenze. Da pragmatico soldato qual era non avrebbe cercato in alcun modo di interpretare quelle che per lui erano da considerare semplicemente per ciò che rappresentavano chiaramente: informazioni. Preziose informazioni da collegare tra loro per conseguire il suo scopo. Ma se era davvero così, perché si era svegliato nel cuore della notte certo di dover portare a termine un importante compito, tanto che senza pensarci su troppo, completamente nudo e impossessatosi dell’Artiglio del Drago, si era messo a correre a perdifiato verso una meta al momento ancora ignota?
Il cielo, nero e cupo fino a qualche attimo prima, ora lasciava il posto all’alba di un nuovo giorno. Contemplare il sole nascente che alle sue spalle stava sorgendo, per un attimo lo commosse. L’ipersonno lo aveva tenuto lontano da tutto ciò per troppo tempo. Nella capsula di sospensione vitale aveva appreso della guerra che stava per scoppiare tra il Principato di Dor e il Ducato di Bash, dei coinvolgimenti dell’Impero, Esperia, e dei sotterfugi degli altri regni. Scosse tristemente la testa. La battaglia contro i Grandi Soldati nella Fossa dei Re, il sacrificio di migliaia di persone, vite umane offerte alla causa suprema, la salvezza di molti sacrificando la vita di pochi. Possibile che gli uomini avevano dimenticato così in fretta tutto quanto? Non avevano imparato nulla?
I suoi pugni si contrassero, tanto che le nocche sbiancarono. C’era ancora bisogno di gente come lui. Guardò verso ovest, verso il mare nero e il cielo nero che ancora per poco si sarebbero abbracciati in quell’oscura morsa di gelo e ombre. Il sole avrebbe presto compiuto il suo miracolo quotidiano. Con la nuova luminosità che sopraggiungeva riuscì a scorgere la scalinata che gli avrebbe donato la libertà. I gradini, scolpiti direttamente nella dura pietra della montagna, ancora non si sapeva da chi ed in quale epoca, conducevano all’unico porto naturale sfruttabile della costa, tra le insenature della baia sottostante; costa che era addirittura impraticabile per ben un centinaio di chilometri.
I suoi inseguitori non sarebbero arrivati fin lì: non sarebbero giunti a tanto. Alla Torre degli Antichi uno dei principi cardine era il non rivelarsi al resto dell’umanità. Gli uomini non dovevano sapere della loro esistenza, per questo lo avrebbero lasciato in balia del suo destino, sperando che perisse, come altri prima di lui; lo avrebbero lasciato alla mercé di un mondo considerato inospitale con la certezza che non avrebbe incontrato anima viva con cui interagire. Che errore…
Arens trasse un altro profondo respiro, e senza un motivo apparente sfoderò l’Artiglio del Drago. Che splendida arma. Un uomo normale avrebbe fatto fatica se non addirittura trovato impossibile impugnare quella spada a due mani. Lui che faceva parte della gloriosa squadra d’assalto “Mare di Sangue” la brandiva con orgoglio impugnandola con la sola mano destra, non senza qualche difficoltà. La lama, tagliente e letale su entrambi i lati, era larga come una sua spanna, poco più di trenta centimetri. Lunga quasi quanto lui era alto, con i suoi centosettanta centimetri di puro acciaio vivo e mortale, era di uno scuro metallo brunito. L’elsa, finemente lavorata, raffigurava la nerboruta zampa di un drago blu e portava incastonato l’occhio dormiente di una di quelle nobili creature. Ecco cosa lo aveva rattristato più di tutto: venire a conoscenza dell’estinzione dei draghi volanti. Che perdita…
Guardando in basso, verso l’unica radura visibile dalla posizione che aveva raggiunto, radura da cui aveva avuto inizio la sua scalata di quella montagna rocciosa, la Lingua del Gigante, non vide nessuno. Era rimasto in contemplazione e assorbito dai propri pensieri per parecchio tempo, eppure non si vedeva ancora alcun inseguitore. Possibile che avevano già desistito dall’idea di catturarlo? Non gli avevano messo alle calcagna i suoi ora ex compagni di reparto, dei professionisti come lui: trovava disdicevole un simile atteggiamento. Li aveva sopravvalutati, o forse, addirittura, loro avevano sottovalutato lui! Non sapevano che anche se appena ridestato dall’ipersonno, le sue facoltà superiori sarebbero state da subito operative? Lo assalì un dubbio. Non aveva verificato quanto tempo aveva trascorso nella capsula. Poteva essere che gli addetti al processo di “riattivazione” fossero degli inetti non a conoscenza di chi si era ridestato? Un’altra mancanza nel sistema che poteva nuocere gravemente all’intera società costituita della Torre!
Un senso di rabbia lo assalì! Era considerato un traditore a priori, senza neppure tenere in considerazione il perché delle sue azioni, il motivo della sua fuga. Che poi era tale per loro, non di certo per lui. Sì, aveva trafugato Artiglio del Drago con la forza, ma a tempo debito avrebbe volentieri e sicuramente pagato per tale azione: trafugare una reliquia simbolo per la sua gente, anzi, La Reliquia, gli sarebbe costato caro. Ma qualunque punizione non l’avrebbe mai devastato quanto l’incancellabile senso di vergogna che ora provava per l’azione stessa che aveva commesso! Ma il punto era un altro: non era fuggito come un ladro! Una voce lo aveva destato, in anticipo sui tempi programmati, e dentro di sé sentiva che ciò che stava facendo era giusto. La sua pareva una fuga solo perché vi erano degli inseguitori, altrimenti, in una diversa situazione, sarebbe stata semplicemente un’altra delle tante operazioni a cui spesso aveva preso parte.
Con tutti quei pensieri per la testa, un nuovo giorno era ormai cominciato. L’aria era ancora frizzante per via della vicinanza col mare. Arens guardò nuovamente verso l’immensa distesa d’acqua, poi verso il sole brillante che per un attimo gli abbagliò la vista. Si coprì gli occhi con la mano libera, ma non fu un gesto da persona infastidita: il tepore che percepiva lo rianimava e gli dava un tale senso di pace… Nella radura sottostante non appariva ancora nessuno. Strinse l’impugnatura di Artiglio del Drago. Lo colse un capogiro, uno sbandamento che lo costrinse ad inginocchiarsi mentre ancora stringeva lo spadone con una mano, cercando di sorreggersi. Avvenne l’impensabile…
Riaprì gli occhi che aveva momentaneamente chiuso per riprendersi, scuotendo leggermente il capo e… quale sorpresa! Il cielo era di un blu intenso, perfettamente limpido, crudele nella sua totale e perfetta nitidezza. Tutto intorno a lui era un tripudio di verde e roccia.. Il verde di immensi prati rigogliosi e brillanti; soffice e fresca, l’erba, tra i suoi piedi nudi, oscillava allegramente sotto la spinta di un forte vento freddo. Le rocce che vedeva attorno, in alcuni punti sparse alla rinfusa e in altri ordinatamente impilate, infelici nel loro triste e monotono grigiore, si stagliavano all’orizzonte all’infinito, o almeno così gli parve, tale era la vastità del sito. Capì subito che si trovava tra i resti di una qualche immensa costruzione o città, trascurata e lasciata a morire sotto i colpi implacabili degli agenti atmosferici, ma non riuscì a capire da quanto regnava quello stato di abbandono, e sentiva di non avere il lasso di tempo indispensabile per studiare meglio la situazione. Si rialzò, rinfoderò Artiglio del Drago, e guardandosi attorno ricordò vagamente di essere già stato in un luogo simile, ma non ricordava dove e quando.
S’incamminò senza una meta precisa. Non avvertiva nessun pericolo e comunque, dopo gli infausti Tempi Remoti dell’Oscuro, niente avrebbe potuto intimidirlo. Regnava un silenzio insolito, si udiva solo il sibilare del vento che gli urlava nelle orecchie. Ancor meno di prima avvertiva un qualche cambiamento nella temperatura esterna; non era assolutamente concepibile come qualcuno o qualcosa gli si potesse avvicinare senza essere visto da lontano.
Il passo era deciso, il panorama monotono e insignificante. Non perse tempo a cercare tracce di nessun genere. Sapeva solo che doveva continuare ad avanzare.
Camminò per ore.
Ad un certo punto si fermò, perplesso. Si guardò nuovamente attorno, con quel modo di fare che poteva sembrare di superficialità, ma in realtà nascondeva una percezione dello spazio e del tempo fuori dal comune. Un’analisi veloce lo fece pervenire ad una semplice conclusione. Era già passato di lì. Ed anche più di una volta! Qualcosa aveva interferito alterando le sue capacità sensoriali.
Nonostante avesse mantenuto una direzione lineare e diritta stava girando in tondo. Il vento continuava imperterrito a soffiare nella stessa direzione; le rocce ammassate disordinatamente o compattate in pareti semidistrutte, in alcuni punti piene di crepe o franate, erano tutte uguali e si ripetevano con sinistra precisione. Guardò contro vento, strizzando gli occhi per il fastidio dovuto alle folate d’aria gelida; guardò nella direzione opposta, coi lunghi capelli che si scompigliarono. Artiglio del Drago ebbe un sussulto.
Arens non si spaventò, ma rimase ulteriormente impressionato. Aveva sentito raccontare in più di un’occasione, soprattutto nelle locande e nelle taverne, di come fosse possibile che Artiglio del Drago possedesse una vita proprio, e per via delle sue personali esperienze passate non aveva mai screditato neppure per un attimo tali affermazioni, ma aveva sempre tenuto per sé qualunque considerazione. Ne aveva viste troppe per non credere possibile una simile eventualità. Il tremore che aveva percepito nell’arma che portava a tracolla, quindi, non lo sorprese, ma gli confermò ulteriormente come fosse giusta la scelta che istintivamente aveva fatto il giorno prima. Trafugare quella reliquia aveva un suo perché. C’era un perché per tutto quanto, e alla fine, ogni cosa si sarebbe conclusa con un nuovo inizio, ogni domanda avrebbe avuto una risposta. Doveva trattarsi dell’ennesimo cerchio che si chiudeva per poi continuare con la genesi di un ciclo di eventi, ripetitivo e interminabile: senza sosta, senza fine; senza tregua?
Si accovacciò, sedendosi sui talloni. Non aveva effettivamente bisogno di riposare o di riflettere ulteriormente su quanto accadeva, però sentiva la viscerale necessità di prendersela comoda. L’urgenza che l’aveva divorato fino a qualche istante prima ora era venuta meno. Era ad un passo dallo scoprire qualcosa, qualcosa che… si alzò di scatto, sempre con le spalle rivolte al vento incessante. E come se fosse quest’ultimo a spingerlo, a spronarlo, s’incamminò nuovamente.
Pur essendo particolarmente calmo e rilassato, come se fosse giunto ad una nuova personale consapevolezza, era curioso e insolito camminare con quell’aria gelida che quasi lo incalzava e gli urlava nelle orecchie. Tutti i suoi sensi erano all’erta e iperattivi. Sentiva che stava per accadere qualcosa e voleva essere pronto a tutto.
Non si era rimesso in marcia da molto quando scorse in lontananza un’indefinita macchiolina nera. Di cosa poteva trattarsi? Accelerò la propria andatura. La distanza da percorrere doveva essere non indifferente: lo dedusse dal fatto che per notare quel fenomeno aveva dovuto sfruttare al massimo le sue già notevoli capacità visive. Rimpianse di non aver preso con se tutta l’attrezzatura standard in dotazione, ma nello stesso istante realizzò come così facendo aveva di sicuro aumentato le sue probabilità di riuscita. Come in un’equazione matematica, l’avere meno distrazioni gli aveva dato più velocità.
Quando si accorse che stava nuovamente correndo, considerò l’evento come l’insignificante conseguenza di una ovvia reazione alle circostanze. Era nuovamente in azione. Artiglio del Drago sussultò ancora sulle sue poderose spalle, ed Arens aumentò ulteriormente l’andatura. Mentre si avvicinava al suo obiettivo, solo in un secondo tempo si rese conto dell’incredibile fenomeno che stava avvenendo. Intorno a lui, in un crescente rombare di pietre che rotolavano e saltavano come pesci impazziti in uno stagno, edifici, muri, fabbricati, case, pozzi, tutto si stava ricomponendo ritrovando la propria forma originale. Le pietre tornavano ad essere mattoni solidi, i mattoni tornavano a dare consistenza a pareti e muri. Un’intera città stava riemergendo dalle rovine che prima dominavano l’intera pianura. Sotto i suoi occhi, il grigio della “civiltà” stava nuovamente prendendo il sopravvento sul verde lussureggiante di prima.
Finalmente, mentre la sua folle e furiosa corsa sembrava non dovesse avere mai fine, cominciò a scorgere e ad identificare l’oggetto che aveva catturato la sua attenzione. Non una cosa, ma un individuo. Un energumeno grosso quanto lui, con addosso l’armatura da combattimento potenziata, se ne stava ritto in uno spazio rialzato ma leggermene concavo. Lì, l’erba non era cresciuta; sabbia bianca mista a terra ricopriva lo spiazzo, ogni tanto danzando in qualche mulinello d’aria improvvisato. Completamente pelato, con una lunga treccia legata da diversi anelli di grezza fattura, il soldato contemplava immobile un’imprecisata direzione, con lo sguardo perso e vacuo. Farfugliava incomprensibili parole, borbottando e ogni tanto alzando il tono della voce, quasi in una supplicante preghiera, accorata e disperata allo stesso tempo. Davanti a lui, conficcato nel terreno… IMPOSSIBILE! Artiglio del Drago era lì, memento alla distruzione a venire e lapide d’acciaio! Arens si trattenne dall’impugnare l’arma che portava sulle spalle: era certo che si trovasse dove effettivamente doveva essere! Coi muscoli contratti, quasi digrignando i denti, si avvicinò ulteriormente, stando però attento a non entrare nel raggio d’azione del misterioso personaggio. La litania sembrava ricominciata ancora una volta, sempre più intensa.
Doveva ammetterlo: era affascinato da quell’individuo. Il volto rugoso e raggrinzito, tanto da sembrare carta straccia, visto da vicino, gli conferivano un’aura di saggezza e nobiltà che pretendevano tutto il suo rispetto. Immaginò si trattasse di un veterano. Anche l’armatura, seppur in buono stato, recava visibili i segni di offese subite in battaglia e aggiustamenti grezzi e artigianali: chissà per quanto tempo aveva dovuto ripararla senza gli adeguati supporti. Quando con uno scatto deciso lo vide estrarre dal terreno la pseudo copia di Artiglio del Drago, di riflesso, con un movimento automatico, Arens arretrò e si preparò allo scontro, ma non sfoderò la propria spada, era ancora come in una trance da battaglia.
In risposta, però, tutte le sue ghiandole endocrine primarie cominciarono a secernere la droga da combattimento. Oh, linfa vitale; oh, dolce succo agognato e benedetto che doni la forza! Gli effetti cominciarono a farsi sentire. Nonostante non indossasse la propria armatura, che avrebbe notevolmente amplificato tale stato di estasi, il guerriero prese il sopravvento. Artiglio del Drago venne sfoderato e il soldato si mise in posizione di guardia bassa, con presa a due mani, pronto a colpire. Un unico attacco preciso e letale doveva bastare: un colpo ascendente a frantumare e spaccare, un colpo incrociato di ritorno per tagliare e dilaniare. Morte allo stato puro. Ma il soldato che si trovava innanzi non solo non lo aggredì, non lo degnò neppure di uno sguardo! Pareva rapito in un mondo tutto suo dove non esistevano altro che lui e la sua lirica blasfema. Sempre salmodiando, innalzò al cielo la pesante spada, protendendola come un dito accusatore, poi con un secco movimento circolare la fece ruotare, quindi diede un taglio netto di ritorno, orizzontale, che fendette l’aria. In quel preciso batter di ciglia, Arens ne fu sicuro, il tempo si fermò… Fu come rimanere a lungo in apnea, chiuso in una bolla di sapone che non poteva che portare all’oblio, nella perdizione più assoluta.
Un’immensa lama di luce scura si propagò nello spazio, tutto intorno. Era come se l’aria stessa, o meglio, lo spostamento d’aria che era stato creato, stesse tagliando l’universo intero. Dove la scia di morte giungeva, tutto s’incupiva e ingrigiva. Il vento si fermò all’istante, l’erba si pietrificò, le urla smisero di tormentarlo. Il soldato con la treccia, anch’egli immobile in quell’ultima posa da maestro d’armi, come una statua commemorativa, si era zittito e ansimava, lentamente. Sempre più lentamente finché non smise del tutto. E rimase immobile: per sempre.
Arens rinvenne. Era ancora sulla Lingua del Gigante! Si girò e rigirò più volte, ancora con in pugno Artiglio del Drago, incredulo per quanto aveva visto. Intorno a lui nessuna traccia del veterano portatore di sciagura. Niente città risorta dalle proprie ceneri, niente sconfinata distesa di erba tormentata dall’incessante vento urlante. Niente devastazione totale ad opera di una copia della reliquia trafugata alla Torre degli Antichi. Nella sua mente si insinuò un dubbio: che la voce che lo aveva destato fosse quella di quel soldato ormai perso chissà dove? Oppure era il vento urlante che gridava, ma cosa? Strinse con più forza la spada con entrambe le mani e solo per istinto si soffermò a guardarla con rinnovato interesse. L’occhio dormiente della mitica creatura! Era aperto, spalancato! Sul mondo, su di lui. La palpebra sbatté una, due volte. Poi lo fissò. In lontananza, da qualche parte, un immenso ruggito scosse l’intera montagna…