La scrittura del libro Il Grande Fuoco mi dà tuttora pensieri e sensazioni contrastanti. L'ho sempre considerato un "esercizio di scrittura", nel senso che mentre la mia folle mente malata partoriva a ruota libera idee su idee che si tramutavano in altri progetti, spinto dagli amici a da mia moglie portai a compimento questa "fatica" letteraria. Non fraintendetemi, sia chiaro. Scriverlo mi è piaciuto, mi è servito, le idee sono ancora tante (il seguito è quasi pronto), ma inevitabilmente, ad un certo punto una domanda te la poni. Tipo, se una casa editrice ti dice che la tua tecnica di scrittura è interessante ma al momento il genere non prende troppo («spopolano i vampiri, perchè non scrivi di vampiri?» ma perchè mai dovrei scrivere di succhiasangue, che tra l'altro adoro, se non sono affatto convinto che riuscirei a tirarne fuori qualcosa di buono e originale?); oppure, che si vede "l'influenza" di tizio e caio (ma se non so nemmeno chi sono e non ho mai letto niente di loro!) o addirittura, semplicemente, che quel personaggio è "strano" (ma se quel personaggio non esiste nemmeno!!), ebbene: MA LE LEGGETE LE OPERE CHE VI VENGONO INVIATE?! Vabbò, si fa buon viso a cattivo gioco, si sorride, si accettano tutti i consigli e si fa tesoro di ciò che ti viene detto, scritto, riportato. L'importante è credere in quello che si scrive. Se uno ha tante buone idee e riesce a scriverle pure bene, meglio ancora! Alla fine, penso che indipendentemente da ciò che uno scrive, dal genere che uno trova più o meno congeniale, ciò che conta veramente è dare emozioni. Catturare il lettore, invogliarlo ad andare avanti a leggere per capire come va a finire o semplicemente per sapere cosa succederà o farà quel personaggio. Ancora meglio, fare affezionare la gente ai personaggi stessi e al mondo che si vuole creare! Non ho problemi ad ammettere che Il Grande Fuoco, nonostante le varie versioni e rivisitazioni (finora tre dal 2003 al 2007, anno in cui ha partecipato al concorso Urania 2007 della Mondadori) rimanga piuttosto ingarbugliato; sì, questo è il termine giusto, ma mi sono accorto che l'avevo concepito proprio così fin dall'inizio, a partire dalla trama: doveva essere un accavallarsi di avvenimenti, nel tempo e nello spazio, che si sarebbero intrecciati e complementati di continuo, fino a sfiancare il lettore, che avrebbe dovuto tenere elevata la concentrazione per seguire l'avventura. Naturalmente, in certi punti devo aver esagerato, tanto che per spiegare meglio certe situazioni ho aggiunto di botto qualcosa come un centinaio di pagine. E addirittura, nell'ultima rivisitazione, il prologo è diventato l'epilogo, scelta forse coraggiosa, non so, forse solo pazzia priva di senso e logica. I pareri sono discordanti? No problem. Qualcuno magari non sarà stato del tutto sincero? Peccato. Perchè a me serve sapere dove devo migliorarmi, come fare per riuscire a superare quel limite che inevitabilmente si frappone come una barriera tra il mio rimanere scrittore sconosciuto per pochi (amici, parenti, colleghi, anche se fa piacere ci sia chi ti tormenta per sapere come va a finire tra quello o quella) e magari diventare uno dei nuovi guru nel panorama italiano. Partecipare ai concorsi letterari è divertente, perchè comunque ti fa conoscere tante nuove realtà e ti mette alla prova. Il mio best seller (non dico neanche il titolo per scaramanzia) è incompiuto e attende che mi ci ributti a capofitto, ma ho come un timore riverenziale nei suoi confronti, la considero troppo La mia Opera Suprema e ho quasi paura a sciuparne anche solo l'idea. Ho già pronte le due traccie per il proseguio de La Trilogia di Gemini, di cui appunto fa parte Il Grande Fuoco. Ho iniziato la stesura della sinossi di un'opera fantasy che trovo accattivante. Ho pronto e iniziato almeno altri cinque romanzi, sempre per il discorso che appena qualcosa mi ruzzola nel cervello devo metterlo subito su carta. Vedremo. Ho sempre tante di quelle idee pazzesche che non so se avrò tutto il tempo necessario per svilupparle. Ahhh, se le giornate non fossero solo di 24 ore, quante cose farei. Ma forse anche così non avrei mai tutto il tempo che vorrei.
PS Stranamente, lì appollaiato sulla spalla, oggi lo gnometto se ne sta quatto quatto in silente contemplazione. Avrà anche lui qualcosa su cui riflettere?
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