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mercoledì 5 maggio 2010

GENESI

Ho sempre odiato le giornate di pioggia. O meglio, ho sempre odiato andare in giro quando piove. E tutto ciò senza un motivo apparentemente valido. Forse perché sono un tipo molto impulsivo e quando piove sembra esserci un qualcosa che ti costringe a fermarti a riflettere. La cosa più struggente è il silenzio che pesante e noioso sembra avvolgerti sottoforma di costante e fastidiosa pioggia cadente…

Ricordo ancora quella notte. Ero tornato da un ricevimento e nel buio assoluto, stravolto ma con ancora nelle orecchie il goliardico frastuono della festa e la baldoria in cui qualche istante prima ero immerso, me ne stavo seduto scompostamente sul divano. In una mano tenevo un boccale di birra, nell’altra una sigaretta spenta. Me ne stavo immobile, e solo il rintocco continuo e monotono dell’orologio a pendolo appeso ad una parete - riuscivo a percepirne la presenza nonostante non potessi vederlo - mi riportava al mondo reale.

Cominciò a piovere. Non dissi nulla e cercai di rimanere indifferente, ma ne ero visibilmente contrariato. Dopo qualche minuto suonò il telefono. Era la mia ex-moglie: mi pregava di raggiungerla in ospedale perché la piccola stava male e non riusciva a capire cos’avesse. Non vedevo entrambe da quattro anni, dalla nascita della bambina. Feci per uscire ma mi fermai sulla porta: pioveva! E poi, probabilmente, non era nulla di serio… tornai al mio comodo divano.

La pioggia aumentò improvvisamente d’intensità e anche se solo per un attimo mi parve di udire una voce che mi chiamava. Inizialmente non ci feci caso ma in seguito, vista la sua insistenza, mi diressi alla finestra e guardai in giardino. Vidi un’ombra molto piccola, quasi di bambino, che muoveva un braccio accennando un saluto. Feci per dirle di mettersi al riparo, che si sarebbe presa un bel raffreddore, ma la voce mi uscì strozzata: era mia figlia, Micòl! Corsi alla porta e cercai di aprirla, ma nonostante tutta l’ irruenza che ci misi non ci riuscii: lei era lì, continuava a salutare nonostante la pioggia e con voce tanto dolce ma tanto triste, cominciò a dire:

«Vieni papà. Ho bisogno di te. Vieni…»

Sembrava supplicarmi.

E io non riuscivo ad aprire quella maledetta porta!

«Vieni papà. Ho bisogno di te…» continuava a ripetere! La dannata porta non si apriva!

Ad un certo punto disse:

«Ti voglio bene comunque… So che ci hai provato…» scomparve...
La porta si aprì; la pioggia calò d’intensità e il cielo si schiarì un po’ ed io, che stavo in mezzo al giardino col viso rivolto in alto, cominciai a piangere.

Il telefono squillò, ma non avevo bisogno di andare a rispondere, sapevo già tutto: quel “comunque” mi aveva fatto capire tante cose.

«Anch’io…» dissi sommessamente, con le lacrime che, miste ad un’amarezza mai provata prima, mi solcavano il viso.

«Anch’io…»

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1 commento:

Silvio Porrini ha detto...

In ordine di tempo, la mia terza creazione, scritta nei primi anni Novanta e dedicata a quella che era una mia cara amica di penna di quel di Mestre (VE). Attualissima visto il tempo dal cielo plumbeo...