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giovedì 8 marzo 2012

La Spada BIanca - Capitolo 1


CAPITOLO 1

Mi svegliai di soprassalto in piena notte, consapevole che quanto avevo sognato non era frutto di una fantasia sfrenata, bensì la realtà, una cruda ed amara realtà. Tutto il mio vecchio corpo era freddo, come se avessi dormito un sonno eterno, ma non mi meravigliai: del resto la vita e la morte per me erano due entità inscindibili che mi accompagnavano, e mi accompagnano tuttora, da tempo immemorabile.
Mi alzai dal giaciglio a rilento, presi il logoro mantello appoggiato su una sedia e lo indossai sopra i pantaloni e la camicia, anch'essi ridotti all'osso, forse più di me. Lo sguardo mi cadde sulla spada, una bellissima ed antichissima Katana, poggiata a terra accanto alla parete: sapevo fin troppo bene che dove stavo andando non mi sarebbe servita e la lasciai lì.
Mi avvolsi nel mantello, coprii la testa col cappuccio e mi affrettai ad uscire dalla catapecchia che mi ospitava già da molti anni, inoltrandomi nella notte fredda. Il cielo stellato, anche se opaco, mi indicò la via in mezzo al deserto e con il mio grave passo iniziai a camminare senza più la baldanza e lo spirito di un giovane.
Mi stavo dirigendo incontro a qualcosa che avrebbe mutato la mia esistenza e ne ero consapevole. Non era sesto senso, tanto meno una qualsiasi reazione emotiva a farmelo sapere, ma la mia perfetta conoscenza del passato e del futuro, così come conoscevo, e conosco, i segreti della vita e della morte.
Era scritto da tempo immemore che questo giorno sarebbe arrivato ed io non potevo fare nient’altro che accettare l'ineluttabile.
Mentre proseguivo nel cammino mi guardai un attimo intorno ed all'evanescente chiarore stellare vidi solo deserto e solitudine. La qual cosa mi era fin troppo familiare in quanto, da anni, avevo scelto di vivere isolato, da eremita ed i pochi sopravvissuti al disastro non sapevano neppure che esistessi. O meglio: erano certi che fossi morto, dato che avevo da un pezzo superato il secolo di vita.
Era quasi l'alba quando, infine, giunsi sul posto.
La scena che mi si presentò agli occhi era identica alla visione: il furgone era stato dato alle fiamme e lo scheletro annerito fumava ancora, alzando una colonna nera verso il cielo terso. Mi avvicinai e gettai un'occhiata all'interno e le ossa, o quello che restava, sparse sul posto di guida mi confermarono che l'uomo era stato dato alle fiamme insieme al furgone. Con un sospiro distolsi lo sguardo e scrutai intorno.
Un fiumiciattolo scorreva lì vicino, quasi seccato dal perenne calore del sole, e mi avvicinai osservando sconsolato il corpo sfigurato e mutilato di colei che nella visione mi era apparsa bellissima. L'acqua scorreva tra i suoi lunghi capelli e li faceva brillare come diamanti alla luce dell'aurora, mentre il braccio teso testimoniava che fino all'ultimo aveva cercato di proteggere qualcuno. Al suo fianco, lungo la sponda, giaceva riverso il corpo dell’altro ragazzo, poco più di un bambino e con sollecitudine mi diressi verso di lui. Mi inginocchiai e delicatamente lo rigirai, gli sollevai la testa scansandogli i capelli dal volto esangue, timoroso di essere giunto in ritardo ed al mio tocco le sue labbra pallide tremarono appena, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
Con delicatezza lo presi in braccio, ignorando volutamente la ferita che gli squarciava in due il torace e dalla quale continuava a fluire sangue e mi accinsi a tornare sui miei passi, ben sapendo che l'altro bambino non l'avrei trovato.
~
Ricordo perfettamente che per un attimo il ragazzo morì; sentii la su anima lasciarlo in silenzio, discretamente, pronta a tradirlo quando più aveva bisogno di lei, portandosi con sé i pochi anni di vita vissuta. A dispetto della mia esperienza, sapevo di non poter fare nulla: dovevo solo attendere.
Rimasi immobile al suo capezzale, con gli occhi chiusi ed una mano posata sulla ferita che avevo ricucito e che avrebbe lasciato una brutta cicatrice a perpetuo ricordo. Il suo cuore ancora giovane era fermo, ma sapevo con certezza che il suo cervello ed il suo corpo erano vivi e che invocavano a gran voce il ritorno alla vita.
Mentre ero lì in attesa che la sua anima tornasse, vidi il suo passato, così chiaro e limpido che mi parve di viverlo in prima persona.
All'inizio tutto era buio e non riuscivo a respirare, mentre mi dondolavo e mi rigiravo in un liquido sconosciuto che mi faceva sentire protetto. Provavo la sensazione di fluttuare in un universo scuro, senza luci e, nonostante il buio, non avevo paura. Capii che mi trovavo nell'utero materno e mi godetti quegli attimi privi di peso, dove mi muovevo con estrema facilità. Solo quando fu il momento di nascere qualcosa miattanagliò lo stomaco, mentre venivo spinto dentro un cunicolo troppo stretto per la mia struttura fisica e sentii un dolore lancinante nell'attimo stesso in cui vidi la luce per la prima volta.
Ma se quella volta fu solo una sensazione, ricordo perfettamente il dolore che ho provato tutte le volte che sono venuto al mondo. Questa, però, è un’altra storia.
Vidi il ragazzo crescere robusto e sereno, circondato dall'affetto dei genitori e protetto dalla cattiveria umana dalla solidarietà degli abitanti del suo villaggio. Provai la sua stessa gioia quando, a sei anni, nacque il fratellino, che lui vedeva come un esserino grinzoso e niente affatto attraente. La sua famiglia si dedicava alla coltivazione di un piccolo pezzo di terra insieme a tutti gli abitanti del villaggio e lui, quando non doveva badare al fratellino, aiutava volentieri nella semina o nel raccolto, contribuendo, nel suo piccolo, al benessere della comunità. Fin quando un giorno il Re non aveva deciso di occupare l'intero villaggio per farne una sua residenza, confiscando la terra e rendendo schiavi gli abitanti. Per questo motivo la sua famiglia, nel marasma che si era creato, era fuggita; ma l'esercito del Re, che era lì proprio per loro, li aveva raggiunti ed aveva ucciso i genitori senza pietà e ferito a morte il ragazzo, credendolo morto, e portandosi via il piccolo.
La storia, ora, era al presente ma, ciò nonostante, continuai a vedere il ragazzo crescere con un vecchio che gli faceva da maestro per renderlo perfetto. Il suo futuro non fu più un segreto per me e quello che vidi mi fece soffrire oltremodo.
Riaprii gli occhi e seppi che il ragazzo era di nuovo vivo: la sua anima era tornata, rimandata indietro dai disegni di Kamido.
Allora mi alzai dalla sedia, presi una ciotola piena d'acqua e con una salvietta gli inumidii il volto pallido e gelido.

1 commento:

Silvio Porrini ha detto...

Il Primo capitolo del libro La SPada Bianca, acquistabile gratuitamente nel sito dell'autrice: www.monicavalentini.net